Tecnica del Nuoto.
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Un gladiatore. Forte, coraggioso, leale, affidabile, generoso, solidale. Lo è stato sempre, per tutta la vita e in tutto quello che ha fatto. Un uomo vero. Così era Luciano Cametti, mio fratello, maggiore di un anno e cinque mesi. Fratello anche, in ordine anagrafico, di Carlo, Gianfranco, Lucia, Laura e Silvio.
Parco di parole, non taciturno. Pacato, diceva quello che pensava senza alzare la voce. Preferiva il concreto fare al vacuo parlare. Superava le contrarietà con un particolare senso dell’umorismo.
Ha conseguito tutti i suoi obbiettivi con il sacrificio, la dedizione, la passione e l’amore.
La laurea in ingegneria a Padova, con alzatacce al mattino per prendere il treno, la libera professione di perito delle assicurazioni, la famiglia, lo sport.
L’amore per lo sport, trasmessoci da nostro Padre Gherardo, grande educatore ed ispiratore, ci ha uniti negli anni giovanili con il nuoto, la pallanuoto e il rugby. Poi, smesso l’agonismo in piscina e sul campo, Luciano si appassionò alla vela: comprò una barca e con qualche amico partecipò a parecchie regate, vincendo anche numerosi premi
Praticando lo sport subì anche qualche infortunio, che però non lo fece mai desistere. L’incidente più grave gli capitò con l’auto, una sera d’inverno, fredda, piovosa e ventosa, a ridosso del Natale, di ritorno da una partita di rugby giocata in una località del Veneto orientale. La stanchezza, l’asfalto scivoloso e la pioggia battente lo portarono a sbattere contro un platano all’uscita di una curva sulla statale 11, nei pressi Castelnuovo. Alla guida della sua Panhard, un auto francese dall’estetica innovativa, stava accompagnando a casa un giovane giocatore, da lui stesso avviato al rugby.
Io, reduce dalla stessa trasferta, ero già rientrato a casa. Non vedendolo tornare ebbi il brutto presentimento. Presi la mia auto e mi diressi verso il luogo dove sapevo essere diretto. All’uscita della maledetta curva vidi la sua auto fuori strada, accortocciata contro il platano. Dopo essermi fermato mi avvicinai e lo vidi disteso per terra, esanime. Allora non c’erano le cinture di sicurezza, per sua fortuna. A causa dell’urto la portiera si era aperta e lui venne scaraventato fuori, sul letto di fredde foglie, bagnate ma morbide. Così si salvò. Chiamai l’ambulanza e venne trasportato all’ospedale di Verona. Gli riscontrarono commozione cerebrale, qualcosa di rotto e contusioni varie ma guarì e fu dimesso dopo due settimane.
Il rugby d’inverno e la pallanuoto d‘estate erano le sue grandi passioni.
Come rugbista aveva grandi doti tecniche, e doti di coraggio al limite dell’incoscienza. Giocava all’apertura, da playmaker, e meritò anche una convocazione nella nazionale B. Per tanti anni fu giocatore e allenatore del CUS Verona (nella foto è il terzo da sinistra).
Come pallanuotista ricoprì il ruolo di portiere nella squadra della Rari Nantes Bentegodi degli anni sessanta in cui, assieme a chi scrive, militavano fra gli altri i tre fratelli Castagnetti: Gianni, Mario (che poi fece carriera come tenore) e Alberto, il futuro commissario tecnico della squadra nazionale di nuoto (nella foto sotto: Luciano, con gli occhiali, è fra Gianni Castagnetti e Giuseppe Segala; davanti a lui, in ginocchio, Camillo Cametti e Alberto Castagnetti; il primo a sinistra è Mario Castagnetti che fu anche ranista di valore).
Per alcuni anni Luciano fece parte anche della squadra di nuoto, gareggiando a rana e a farfalla, soprattutto per contribuire alla classifica della società.
Concluse le stagioni agonistiche, sul campo e in piscina, si dedicò all’altra sua grande passione, la vela; partecipò a numerose regate e spesso vinse dei premi (foto sotto).
La sua fine improvvisa ha colto impreparato chi scrive e i suoi numerosi amici ed estimatori.
Riposi in pace
Verona, 27 gennaio 1942 – 11 febbraio 2022