Tecnica del Nuoto.
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Di Monica Vallarin (in copertina e sotto) Il Mondo del Nuoto si era occupato tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta. Nata l’1 febbraio del 1965 a Torino, Monica - che nuotava per la società sportiva più importante della sua città, la Sisport FIAT, allenata da uno dei migliori giovani coach di quel tempo, Ezio Della Savia - fu un talento precoce del nuoto italiano, sbocciato come un fiore dai petali freschi e rigogliosi, nel panorama della velocità femminile, allora dominata dalla romana Cinzia Savi-Scarponi e dalle sue “vallette”, Cristina Ponteprimo, anche lei di Torino, e dall’altra romana Silvia Persi.
A 13 anni Monica era già fra le migliori velociste (foto sotto) e suscitò anche l’interesse dei media nazionali. A 15 anni, nel 1980, vinse il titolo italiano dei 200 metri stile libero e fu selezionata per le Olimpiadi di Mosca dove gareggiò nei 100 stile libero e con la staffetta 4x100 stile libero, quinta in finale.
La sua carriera di atleta finì presto a causa della frustrazione accumulata durante lo sfortunato collegiale a Mission Viejo, effettuato nel 1982 come preparazione per i Campionati del Mondo di Guayaquil, assieme ad altre sei nuotatrici della Nazionale, agli ordini del “guru” Mark Schubert, un coach che allora andava per la maggiore.
Purtroppo Monica, soltanto finalista nei 200 stile libero al “Sette Colli” di Verona 1982 che valeva come selezione (foto sotto, a sinistra, con Ponteprimo e Persi al Sette Colli 1982, premiate dall'allora presidente della FIN Comm. Aldo Parodi), non riuscì a qualificarsi per quei Mondiali e poco dopo troncò, incompiuta, la sua carriera.
L’avevamo persa di vista e l’abbiamo ritrovata in tempi recenti, affermata professionista, psicologa dello sport, mental coach, docente e tanto altro, con un curriculum lungo da far paura.
Il suo intento professionale “è sostenere le persone nelle transizioni in ambito sportivo, professionale e personale, sostenendo l’ideazione e la realizzazione di progetti e obiettivi sentiti come rilevanti, con una costante attenzione ai nuovi apprendimenti, al benessere emotivo e alla risorse personali”.
Per questo, oltre vent’anni fa, ha fondato lo Studio Puissant Transizioni Empatiche (https://puissant.it/monica-vallarin/).
Adesso ci ha inviato uno scritto di grande attualità e lo pubblichiamo volentieri.
“SFIDE E OPPORTUNITÀ’ FUORI DALL’ACQUA: il NUOTO ai tempi del CORONA VIRUS” (Monica Vallarin, Psicologa dello Sport ed ex atleta -4/4/2020)
Per riprendere a nuotare dopo il coronavirus dobbiamo partire dal presente, perché “ogni viaggio comincia da vicino”.
I nuotatori hanno un indiscutibile punto di forza nella capacità, pressoché innata, di tollerare elevati livelli di introversione e solitudine, riuscendo a rimanere immersi a lungo in un liquido e affrontando livelli di sforzo prolungati quanto intensi.
Possiedono però una grande criticità sport-specifica: hanno bisogno di un dialogo ininterrotto con le sensazioni acquatiche, devono cioè poter rifornire la propria senso-percezione attraverso la “magia” del galleggiamento, della spinta e dello scivolamento; in un momento come quello che stiamo attraversando, l’inaccessibilità agli impianti costituisce per i nuotatori un limite che devono riuscire a gestire, senza peraltro potersi avvalere di esperienze passate di tale portata.
Essere “fuori” dall’acqua, mina in alcuni casi la sensazione di “efficacia” dell’atleta, finendo per destabilizzare la sua sicurezza agonistica e il contatto con le proprie capacità.
Il ritmo della routine quotidiana risulta ampiamente alterato e, paradossalmente, il poter disporre di un tempo più dilatato, risulta talvolta disadattivo per il nuotatore agonista, fin troppo abituato ad affrontare giornate serrate, senza tempi residui.
Il cambio di ritmo va gestito, ma molti atleti non si sono mai trovati di fronte ad un simile compito e si sentono “disattivati”, se non proprio demotivati.
Ai tempi del coronavirus, il microcosmo agonistico deve probabilmente arrendersi ed accettare di far parte del “tutto”, in una sorta di inevitabile partecipazione alla vulnerabilità collettiva.
La consapevolezza di ciò che sta avvenendo, va ben al di là del bordo vasca e disallinea l’assetto mentale ed emozionale dell’atleta, che fatica così a ri-organizzare la propria interiorità, oltre che la propria routine, toccato da pensieri ed emozioni che potrebbero trovarlo impreparato e talvolta spaventato. Anche il forte “individualismo” di una disciplina come quella natatoria, potrebbe non avere “allenato” a sufficienza la tenuta psicologica dell’atleta adolescente, che si trova ad aver perso, in periodi come questo, ogni possibilità di contatto “in vivo” con i compagni, con l’allenatore e con la squadra.
Il supporto, l’affettività, la visibilità sociale, il rispecchiamento reciproco e il riconoscimento, intesi come imprescindibili fattori evolutivi e motivazionali dell’atleta, risultano attualmente quasi inaccessibili, amplificando talvolta una potenziale sensazione di “esclusione affettiva”, oltreché agonistica in molti ragazzi.
Credo che mai come ora, atleti e allenatori, possano cercare di trasformare il limite in possibilità: perché sappiamo che ogni esperienza, anche quelle che non avremmo mai voluto fare, può generare apprendimenti inaspettati; ogni sfida contiene infatti l’embrione di una potenziale opportunità.
Diventare artefici di routine stra-ordinarie e innovative, centrate su ciò che gli atleti “possono fare” e non cristallizzate su ciò che è impossibile fare , lascia spazio alla FATTIBILITA’ e alla creatività : scoprire routine e pratiche quotidiane che potranno aiutare gli atleti a migliorare la consapevolezza di sé , arricchendo la loro capacità di ascoltarsi senza giudizio, potrà diventare un vero e proprio punto di forza alla ripresa delle attività agonistica; alcune pratiche legate all’osservazione dei propri stati mentali ed emozionali, giorno per giorno, regolarmente appuntati in un diario emozionale, potranno favorire la consapevolezza dell’atleta nei confronti delle proprie personali modalità di gestione degli eventi ; inoltre , la capacità di elaborare piani personali “costruttivi”, in un momento in continua trasformazione, potrà costituire un ottimo allenamento per gestire lo “svantaggio” in gara e ancora , dedicare un piccolo spazio della giornata a pratiche di rilassamento e integrazione psicofisica, potrà tornare estremamente utile in prossimità delle gare e in camera di chiamata.
Ma c’è un aspetto che forse più di ogni altro potrà essere propulsivo e supportivo nel momento della ripresa dell’attività: l’allenamento alla autentica relazionalità tra allenatori e atleti; in una fase che mette così a dura prova la relazione allenatore-atleta, sarà proprio una diffusa e intenzionale RELAZIONALITA’ a costituire l’antidoto.
Una comunicazione orientata e condivisa, capace di ri-conoscere le singole individualità dei ragazzi e i loro differenti bisogni, faciliterà il rapporto e l’espressione delle emozioni reciproche e favorirà una sana alleanza di lavoro da spendere in allenamenti e gare. La condivisione delle reciproche vulnerabilità, con fiducia e accettazione incondizionata, potrà favorire e nutrire il terreno della ripresa, perché nulla è più potente di un allenatore responsabilmente umano e capace di gestire l’emergenza “emozionale” che attraversa i propri atleti.
Credo che sentirsi autenticamente accolti dal proprio allenatore, a prescindere dalla forma fisica che tanto preoccupa i ragazzi, possa essere parte di un nuovo “inizio”, da gestire con la stessa CURA, che tutti gli “esordi” importanti meritano, accompagnata da quel RITMO calmo e bilanciato, che solo gli adulti competenti e fiduciosi riescono a trasmettere.
Il resto sarà una scoperta.
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