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No, la predica no!

Considerazioni sulla vicenda Muffat

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Gattini a parte, nulla tira sui social network come le morti celebri.
È umano: piangere le sfortune degli altri, specie se famosi, aiuta a non pensare alle proprie.
Però mi sembra davvero irriguardoso oltre ogni decenza dipingere Camille Muffat come una povera disadattata, costretta a girare il mondo per guarire dalla clorodipendenza, che "se avesse continuato a nuotare sarebbe ancora viva".
A nessuno sorge il dubbio che Muffat fosse più felice partecipando a un reality show sotto il sole dell'Argentina che macinando vasche in qualche piscina francese? Godendosi la popolarità faticosamente conquistata a suon di medaglie d'oro?
Lo sport agonistico è un'opportunità, non deve diventare una gabbia e non c'è bisogno di scomodare punizioni divine per chi decide di dedicarsi ad altro: Muffat non è morta in quanto ex nuotatrice così come non sarebbe sopravvissuta in quanto nuotatrice.

È morta perché ogni giorno sulla Terra muoiono centosessantamila persone (poco meno di due al secondo) nei modi e nelle circostanze più disparate. Almeno lei si stava divertendo.

 

È un lungo, lungo viaggio per giungere al mattino

attraverso gli arabeschi disegnati dal destino

(T. Sclavi, Ballata della città di notte)

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