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Bordo Vasca di Silvio Cametti

RATKO RUDIC A VERONA

"Bisogna superare la soglia del dolore"

E' la filosofia del leggendario tecnico croato,che è tornato nei giorni scorsi nella città scaligera.

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 http://www.parlanuoto.it/wp-content/uploads/rudic-e1346652678788.jpgRatko Rudic è tornato a  Verona, dopo esserne stato ospite con il Settebello negli anni ´90 quando l’Italia giocò tra il 96 e il 98 delle amichevoli contro Australia, Germania e Croazia. Nel 2008 invece venne a raccontare le sue esperienze ad alcuni ragazzi della pallanuoto scaligera. Nei giorni scorsi invece era a Verona chiamato da una banca come motivatore, per illustrare il suo metodo vincente e ne abbiamo approfittato per  fare una chiacchierata in compagnia di una rappresentanza di tecnici e atleti locali di diverse categorie. Inarrivabile  il suo palmares, 12 olimpiadi in rappresentanza  di 4 nazioni diverse (Jugoslavia, Croazia, Usa, e Italia).Rudic è da poco passato ai ruoli dirigenziali della federazione croata. Ecco in sintesi alcune domande che gli sono state poste dai presenti.

C’è un segreto per i  tanti successi?

“La nostra è una squadra fortissima, che abbiamo costruito negli ultimi due anni, sviluppando un progetto e scegliendo persone qualificate. Non si improvvisa mai niente”.

Come motiverebbe un gruppo di amatori di 30 - 40 anni che non ha mai giocato a pallanuoto e vuole iniziare in età avanzata?

Premesso che non ho mai avuto modo di allenare questo livello, posso dire che se uno si mette in testa di iniziare la pallanuoto a 30 o 40 anni, ha già la motivazione, che è quella di andare in piscina. Per cui, fateli giocare!

Cosa ne pensa del tiro da 5 metri, non ha un po’ snaturato il gioco?

Non sono d’accordo, diciamo che la coperta è corta. Prima ,col tiro da 7 metri c’era più lotta al centro ed erano avvantaggiate le squadre con forti centroboa. Ora, la lotta si è spostata anche fuori dai 5 metri e questo ha portato i tecnici a studiare nuove tattiche difensive e offensive. Ritengo che questo sia positivo. Ora ad essere avvantaggiate sono quelle squadre che hanno più tiratori dalla distanza. Il tiro da 6 metri sarebbe il giusto compromesso, ma non si può continuamente cambiare le regole. Pare invece che finalmente vengano accettate alcune proposte, fra cui quella di invitare gli arbitri a fischiare espulsione sui falli sistematici che vengono fatti sul perimetro esterno, specie le trattenute a due mani. Avevamo già fatto degli esperimenti in questo senso quando ero negli Stati Uniti e devo dire che il gioco era diventato molto più fluido, senza  i continui fischi arbitrali. All’inizio i giocatori faranno fatica ad abituarsi, ma appena si accorgeranno che se si va in cerca del fallo, anziché della palla, si va fuori, Il gioco sarà meno spezzettato e il pubblico seguirà più volentieri le partite.

E´ questo che ha fatto la differenza con i suoi ex allievi che hanno guidato l´Italia?

“Vincere una finale è solo questione di testa, e l´Italia ne aveva. Con Campagna e Pomilio ho vinto l´oro .Tutti volevano vincere quella gara, fossero stati gli Azzurri, sarei stato contento comunque, che abbia vinto la Croazia, molto di più, ma solo perché il mio lavoro è stato ripagato”.

Dicono che lei sia un duro.

“Diciamo un autoritario. Il primo anno con l’Italia  è stato difficile. Io pretendevo, loro facevano fatica a seguire la mia filosofia di gioco e protestarono. Io chiedevo lavoro e disciplina, i giocatori non erano abituati a tanto; trovammo un compromesso, io accettai alcune richieste, loro si impegnarono di più, crescemmo tutti. Per me l´atleta per diventare un campione deve saper superare la soglia del dolore”.

E poi arrivò l´oro di Barcellona, i mondiali di Roma, gli Europei di Vienna…

“L´Italia ci mise a disposizione risorse attraverso il Coni, con il reparto di medicina dello sport facemmo alcuni esami per capire quale tipo di energia umana sfruttare. Pescammo il meglio anche nello staff medico, capimmo le motivazioni, dissi ai giocatori di parlare in famiglia, perché i due mesi prima dell´evento dovevano pensare solo ad allenarsi”.

Quanto conta il fisico?

“E´ solo un caso se nella nazionale croata sono tutti alti e grossi. Piccoli non ne ho trovati (risata). Ho visto giocare un ragazzo qui in Italia che fisicamente non corrisponde ai canoni del pallanuotista, però le gambe sì, sono quelle giuste. Può marcare anche centroboa di 100 chili. Credo arriverà presto in nazionale”.

La partita più bella?

“Il terzo posto in Atlanta ´96 conquistato dall´Italia con l´Ungheria. Sotto di 4 gol, dopo aver recuperato siamo passati in vantaggio. Postiglione pensava fosse finita e si è lanciato in acqua. Avrebbe voluto volare e tornare indietro perché si era reso conto del guaio che stava combinando. Ci è stato fischiato il rigore contro e  poi  abbiamo vinto ai supplementari dopo che la maggior parte di noi era stata espulsa. Avevamo giocato bene”.

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