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Nuoto

Olimpiadi di Rio – Analisi delle Prestazioni dei due maggiori Paesi

Netta supremazia degli Stati Uniti, Australia imbarazzante

Le due grandi potenze del nuoto, favorite per la vittoria nel medagliere alla vigilia delle Olimpiadi, si sono confermate come primo e secondo Paese più vincente seguendo però dei cammini totalmente differenti: States predatori indomiti, Aussies prede introverse.

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Rio2016 Olympic Games

Negli ultimi anni gli Stati Uniti avevano destato una generale impressione di fragilità. È vero, in nessun luogo quanto in terra nord-americana la preparazione degli atleti è finalizzata ad ottenere il massimo risultato alle Olimpiadi. Ma non si trattava soltanto del fisiologico peggioramento di prestazioni e risultati negli anni a cavallo tra una edizione dei Giochi a 5 cerchi e la successiva. Per quanto lo spirito di squadra a stelle e strisce possa essere marcato, il team statunitense ha quasi sempre avuto dei leader in grado di dominare le proprie gare e trascinare gli altri.

In questo caso la situazione pareva molto diversa. Dei quattro grandi campioni, Michael Phelps, Ryan Lochte (sotto), Missy Franklin, Katie Ledecky, dopo il 2012 solo la più giovane non aveva incontrato seri problemi, fisici o psicologici. Lo stesso Phelps, pur tornato sulla cresta dell'onda con dei risultati straordinari agli U.S. Nationals di San Antonio, svoltisi in corrispondenza dei Mondiali di Kazan '15, non offriva garanzie, specialmente in relazione alla tenuta fisica durante otto giorni di competizioni, al punto che già ai Trials di Omaha si era limitato a nuotare 200 misti, 100 e 200 farfalla (questi ultimi conclusi con un'ultima vasca “in piedi”), consapevole che se avesse ricercato la qualificazione pure come membro di staffetta avrebbe rischiato di restar fuori persino nelle proprie gare. In molte altre prove gli Stati Uniti avevano la possibilità di giocarsela per l'oro, ma atleti più accreditati partivano con i favori del pronostico.

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Se a ciò aggiungiamo che anche nelle staffette numerose compagini estere avevano le carte in regola per mettere quantomeno in difficoltà il Paese a stelle e strisce si comprende come le premesse fossero di un'Olimpiade che gli States avrebbero dovuto affrontare in difesa per conservare il primo posto complessivo.

Risultato: Stati Uniti vincenti come non mai.

Considerando solamente il nuoto tra le corsie, gli USA hanno totalizzato il massimo numero di medaglie d'oro (16, ex aequo con Londra '12) e di metalli tout court (33, ex aequo con Sidney '00) degli ultimi 40 anni (dovendosi escludere dalla statistica le Olimpiadi di Los Angeles '84, boicottate dal blocco sovietico). A posteriori possiamo dunque dire che non si è trattato di una sfida Stati Uniti vs Australia, bensì USA vs Resto del Mondo giacché il Paese a stelle e strisce ha ottenuto 16 ori 8 argenti e 9 bronzi mentre la somma delle medaglie delle altre nazioni è di 17 ori 25 argenti e 23 bronzi. Differenza peraltro che si attenuerebbe qualora gli States avessero potuto schierare più di due atleti e più di una staffetta in ciascuna gara. Dominio assoluto.

La ragione di un simile risultato, oltre che nell'impostazione del sistema universitario (e, più in generale, scolastico) statunitense e nell'unanime riconoscimento di valore al merito sportivo, va ricercata in una programmazione scientifica della preparazione psico-fisica degli atleti, sia nell'arco temporale dei quattro anni sia in prossimità dell'evento clou.

Al di là delle prestazioni dei singoli - sarebbe infatti banale inneggiare al Cannibale, Michael Phelps, o alla regina del mezzofondo, Katie Ledecky - ciò che sorprende maggiormente è la capacità dell'intera squadra di esprimersi sui massimi livelli del quadriennio in una stessa occasione. Ne è testimonianza la presenza sul podio, mancata soltanto nei 400 stile libero maschili (Conor Dwyer e Connor Jaeger, quarto e quinto a poco più di mezzo secondo da Gabriele Detti) e nei 200 rana e 200 farfalla femminili (per obiettiva assenza di competitività). Il dato che però pare capace di rendere maggiormente l'idea dello spirito battagliero e vincente degli americani è quello relativo alle vittorie insperate e/o al photo finish. Nessuno avrebbe pensato che Anthony Ervin sarebbe stato in grado di prevalere su Florent Manaudou nei 50 stile (21.40. vs 21.41), o avrebbe scommesso su Simone Manuel nei 100 stile (sotto dopo l'arrivo) o Maya DiRado nei 200 dorso (6 i centesimi che le hanno permesso di piegare l'Iron Lady, Katinka Hosszu). Tutt'altro che scontate le vittorie di Michael Phelps nei 200 farfalla (4 centesimi sul sorprendente nipponico Masato Sakai), nelle due prove del dorso ad opera di Ryan Murphy e nella staffetta veloce maschile, così come i 200 stile libero di Katie Ledecky (in copertina, con Lea Smith) e 100 rana di Lilly King. È vero, a Josh Prenot (200 rana) è sfuggito l'oro per appena 7 centesimi, ma il duello con il kazako (Dmitriy Balandin) è stata una sfida a distanza piuttosto che un vero corpo a corpo. L'unica reale sconfitta di misura (2 centesimi) è stata quella di Simone Manuel nei 50 stile, ma considerando che l'americana non aveva alcuna certezza di rientrare in finale e che ha migliorato il proprio personale di oltre due decimi, l'argento maturato è senz'altro un successo!

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Si potrebbe poi obiettare che Ryan Lochte e Missy Franklin non hanno fatto onore al proprio Paese. Tralasciando la vicenda c.d. LochteGate, sono in realtà note le difficoltà fisiche dei due atleti, perciò per loro far fronte a due impegni (Trials e Giochi Olimpici) in poco più di un mese era davvero proibitivo. È stata deludente Kelsi Worrell, che nei 100 farfalla andava senza mezzi termini per un metallo olimpico, ma per lei si trattava della prima vera esperienza a livello planetario e la mancata qualificazione per la finale è dipesa più dall'ingenuità ed inesperienza che dalla carenza di carattere. In realtà l'unico atleta nei cui confronti pare legittimo muovere un biasimo è Kevin Cordes, nuotatore dalle straordinarie doti ed impressionanti record personali, tutti realizzati in fase di qualificazione o semifinale. Nel suo palmares internazionale, dal 2012 ad ora, compaiono tre medaglie individuali (una per ciascuna distanza della rana), nessuna del metallo più prezioso; ha ottenuto un oro mondiale ed uno olimpico (proprio quest'anno, nuotando la batteria), ma come membro della 4x100 mista, eppure anche in staffetta si fece tradire dai nervi quando a Barcellona '13 cambiando a -0.04 privò i suoi compagni di un oro fuori discussione. A Rio, Cordes ha nuovamente realizzato i propri migliori tempi (non distante dai suoi primati personali) in batteria (100 rana) e semifinale (200 rana).

Questa la breve disamina relativa agli atleti statunitensi, tra i quali si deve scavare bene per trovare un nuotatore che non ha ben figurato, specie laddove si consideri che il ranista sopra citato ha comunque raggiunto due finali individuali e vinto un titolo di staffetta. Cosa dire invece degli australiani? Si deve semplicemente invertire i termini della ricerca: chi ha fatto una grande, buona o persino dignitosa Olimpiade?

A livello d'insieme i numeri tuonano chiarissimi. A Kazan l'Australia ottenne 7 ori 3 argenti e 6 bronzi (ori e argenti conseguiti tutti in distanze olimpiche), a Rio... 3 - 4 - 3.

Lo scorso anno il Paese oceanico si era fermato ad un solo oro dagli Stati Uniti e li avevano persino battuti nelle gare olimpiche (gli States vinsero infatti nei 1500 stile libero femminili e nella 4x100 stile libero mixed). Nella stagione '15-'16 gli atleti australiani hanno ottenuto risultati eccellenti, sia durante i propri Trials - due su tutti, Cameron McEvoy 47.04 nei 100 stile libero, Cate Campbell 23.84 nei 50 stile libero, entrambi WR in tessuto - sia alla vigilia dei Giochi Olimpici (Cate Campbell 100 stile libero 52.06 WR), sia in altre occasioni (Mitch Larkin 100 dorso 52.11 e 200 dorso 1:53.17, Emily Seebohm 100 dorso 58.34, tempi rispettivamente da argento, oro ed oro olimpico).

Si potrebbe proseguire con gli esempi, ma la realtà è che si tratta di una tendenza ben consolidata da anni e che si manifesta maggiormente durante la manifestazione sportiva più importante. Dopo il prematuro ritiro di Ian Thorpe l'Australia non ha più trovato un vero leader, e l'abbandono di Grant Hackett non ha certo migliorato la situazione. Un anno dunque gli Aussies paiono i padroni incontrastati del dorso, con Mitch Larkin ed Emily Seebohm (nonché Madison Wilson, Belinda Hocking e la giovanissima Minna Atherton), e dello stile libero veloce, Cate e Bronte Campbell e Cameron McEvoy, durante la stagione seguente gli atleti confermano la propria superiorità salvo esprimersi a livelli inaccettabili alle Olimpiadi, restando fuori dal podio. Proprio così, dei summenzionati soltanto Larkin ha ottenuto una medaglia (d'argento) e solamente nei 200 dorso. Tutto questo è incredibile.

A Londra '12 alcune delle controprestazioni furono attribuite agli scherzi notturni a causa dei quali si originarono grandi polemiche e costrinsero i leader a fare pubblica ammenda per il proprio comportamento. In questa occasione non è accaduto niente di simile, ma le aspettative sono state amaramente deluse. Ogni volta che gli oceanici escono dal proprio Paese o cambiano fuso orario si trovano in difficoltà, se poi si tratta di un'Olimpiade e rivestono il ruolo di favoriti la situazione diviene insostenibile. Rio '16 ne rappresenta la conferma: tra coloro che erano tenuti a vincere nessuno ha centrato l'obiettivo. Difatti nei 400 stile libero, a dispetto della realizzazione del miglior tempo dell'anno da parte di Mack Horton, il favorito pareva Yang Sun e nei 100 stile Kyle Chalmers difficilmente avrebbe potuto aspirare al podio. L'altro oro australiano è giunto dalla 4x100 stile libero femminile ed è noto che in staffetta le pressioni si ripartiscono su tutti i membri della stessa. Vittoria e record mondiale non ingannino, la superiorità del quartetto era schiacciante, il tempo finale non è straordinario rispetto ai valori delle atlete e se la prova avesse avuto luogo alla fine dei Giochi, il morale statunitense avrebbe reso ben più complicata la gara.

Tornando al quesito sulla compagine australiana, i nomi da segnare sul taccuino sono ben pochi.

Mackenzie Horton: eccellente. Consapevole di poter battere il colosso cinese, lo prende di sorpresa accelerando nella penultima vasca e rubando oltre mezzo metro nell'ultima virata. I 50 metri conclusivi sono di pura sofferenza, ma alla fine il sostenitore del doping free riesce a sconfiggere colui che ha avuto un passato tutt'altro che trasparente...

Kyle Chalmers: straordinario o incosciente? Il giovane, classe '98 (sotto), ha stabilito ogni record australiano (e non solo) in tutte le categorie di età dai 13 ai 18 anni nelle distanze dei 50 e 100 stile libero. Chalmers si era dimostrato vincente sul palcoscenico internazionale già lo scorso anno, prevalendo nei 50 e 100 stile libero e nella staffetta 4x100 stile, il tutto però a livello giovanile. Quest'anno il salto di qualità definitivo. Dopo i numerosi infortuni rimediati praticando football ha “deciso” (i commissari della propria nazionale hanno senz'altro esercitato una certa influenza sulla determinazione) di interrompere l'altra attività sportiva ed è stato subito ripagato con il massimo trionfo: l'alloro olimpico nella gara regina.

Chalmers Kyle AUS gold medal 100sl

Madeline Groves (200 farfalla - Foto sotto) ha disputato una buona Olimpiade, nuotando da protagonista e imponendo il proprio ritmo a tutte le avversarie. La delfinista ha pure migliorato il suo primato personale, ma - più a livello caratteriale che fisico - le è mancato qualcosa per tenere dietro nell'ultima vasca Mireia Belmonte Garcia, che pur essendo meno performante è stata capace di tenerla dietro di appena 3 centesimi.

Groves Madeline AUS medal silver

Emma McKeon ha raggiunto il massimo del possibile. Indubbiamente ha approfittato del tempo non spaziale realizzato da Federica Pellegrini nella finale dei 200 stile libero, ma è stata brava a farsi trovare pronta al momento giusto e a confermare un crono al di sotto di 1'55'', come in occasione dei Trials di casa.

Merita infine un encomio Tamsin Cook, non ancora maggiorenne, la più giovane della squadra australiana e la più giovane a centrare la finale dei 400 stile libero. L'atleta, già oro ai Mondiali Giovanili di Singapore '15 nella stessa distanza, si è migliorata di quasi due secondi (4:04.36) per accedere all'atto conclusivo della prova: per lei potrebbe prospettarsi un grande avvenire.

Le citate eccezioni non possono però cambiare il giudizio negativo che connota la spedizione del Paese oceanico alle Olimpiadi di Rio. È appena il caso di evidenziare un ultimo dato relativo agli Aussies. Delle vittorie mancate, talvolta in modo clamoroso, già si è detto, ma si deve aggiungere che in due gare femminili, 100 stile libero e 200 dorso, il terzo gradino del podio dei Trials australiani è stato ottenuto con un tempo inferiore a quello necessario per raggiungere il bronzo olimpico e il mancato raggiungimento persino del podio brasiliano in entrambe le suddette prove non può non far riflettere.

Alla vigilia dei Giochi Olimpici lo scettro del Regno del Nuoto si trovava a metà strada tra i due grandi Paesi, all'esito degli stessi lo scenario vede gli yankees a caccia e i kangaroos in ritirata.

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